Posts Tagged ‘Inter’

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CIAO DEKI. E GRAZIE

9 luglio 2013
  1. ImmaginePer quella volta seduti sul divanetto, a parlare del tuo libro, della tua vita, dei tuoi figli, della tua e mia Inter.
  2. Per i gol nel derby, per il gol alla Juve, per i gol pesanti che hai sempre fatto e che tutti hanno sempre pesato poco
  3. Per quel gol allo Schalke: non avevo mai visto, dal vivo, un prodigio di tale bellezza. Qualcosa di unico. (e anche quella sera, uscito tu, ci siamo arresi)
  4. Per averci scelti, preferiti e amati ogni giorno.
  5. Per la stagione 2007/2008, che hai giocato nonostante l’infortunio, nonostante le critiche, nonostante tutto. Sempre in campo a lottare.
  6. Per la fascia di capitano, indossata sempre con fierezza.
  7. Per averci messo la faccia, sempre.
  8. Per il triplete.
  9. Per quello che mi hai trasmesso.
  10. Per quella scivolata in ginocchio e poi pancia a terra a Parma, quando Ibra segnò il gol dello scudetto. Tutti ad abbracciare Ibra e tu, sotto ai nostri tifosi, a piangere di gioia. A liberarti da quel peso che tutti ci portavamo dentro. A gustare una gioia infinita.

GRAZIE

 

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CIAO WES, INSIEME SIAMO STATI GRANDI

21 gennaio 2013

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Quel venerdì 28 agosto 2009 faceva piuttosto caldo. E io, caro Wesley, ero lì con gli altri giornalisti ad aspettarti, ad Appiano. Ce la ricordiamo tutti, quella conferenza stampa. L’abito estivo, Mourinho in maniche corte e abbronzato, Oriali che ti tiene la maglia numero 10 (sedotta e abbandonata da Ibra, negata a Balotelli), Branca che sta un po’ defilato.

Mentre pronunciavi le classiche parole che stai già dedicando alla tua nuova squadra (“Sono arrivato in un team grandioso”, “[NOME ALLENATORE] è uno dei più bravi del mondo”) è successa una cosa che, alla lunga è stato più che un segnale. Mentre stavi parlando e tutti pendevamo dalle tue labbra nella sala stampa di Appiano, da una porta laterale è entrata lei, Yolanthe. Indossava un vestitino estivo colorato e tutti, me compreso, ci siamo distratti per ben più di tre secondi, nel vederla sfilare e accomodarsi in una delle poltroncine laterali, mentre ti guardava e scattava foto con una compatta.

Non so gli altri e non me ne voglia la mia ragazza, ma raramente, forse mai, avevo e ho visto dal vivo una donna tanto bella. Non la conoscevamo bene ancora, Yolanthe. Mentre adesso che sei già a Istanbul sappiamo che al Gala abbiamo spedito Sneijder e Yolanthe, come se anche lei fosse un pezzo di Inter. Come quando Julio Cesar la scorsa estate è partito per Londra e, giorno per giorno, siamo stati aggiornati ed emozionati dai tweet di Suzana. Un anno dopo quella conferenza stampa tu e Yolanthe vi siete sposati, in una cerimonia celebrata dal prete più interista che abbia mai conosciuto, don Luigi, che ogni volta che incrociavo da piccolo mi parlava sempre e solo dell’Inter.

Il giorno dopo quella conferenza stampa eri già in campo, nel derby: 4-0, una tua prova super. La prima prova generale delle prove da triplete. Di quella stagione fantastica ci sono momenti che ci porteremo dentro per sempre:  il primo fu il gol all’Udinese, a tempo scaduto, un 2-1 che ci mandò fuori di testa. Era il segnale di una stagione da vivere a tutta, fino all’ultimo. E allora via, con la doppietta con il Siena, il gol a Kiev che è uno dei pezzi più grossi della Champions, l’assist a Eto’o a Londra contro il Chelsea, il gol ai quarti su punizione con il Cska, il gol al Barcellona a San Siro che diede il via ad una delle più grandi partite della storia dell’Inter (oltre all’assist per Milito per il 3-1). Poi Madrid, quell’assist perfetto al Principe per l’1-0, il gol fallito poco prima, una prova da campione.

Forse la tua ruota ha iniziato a girare all’indietro in quella maledetta finale del Mondiale. Avevi già fatto 5 gol e eliminato il Brasile con una doppietta, quando sullo 0-0 hai messo in porta Robben. La storia sarebbe cambiata, Robben ha fallito, l’Olanda ha perso, tu non hai vinto il pallone d’oro. Sei tornato un po’ più scarico, ci hai aiutato a battere il Bayern a Monaco, hai alternato prove buone a lunghe pause. Ci lasci con un po’ di amaro per come è stata gestita la situazione, con i tweet a volte dolci a volte amari della tua bella Yolanthe. In una delle tue ultime partite con noi, di fronte ad un San Siro che mugugnava, hai guardato la tribuna: “fischiate, fischiate…”. I segnali di insofferenza c’erano. Ma mai come adesso ci sarebbe servito uno come te. Uno che ragiona in verticale, uno con i tuoi tempi di gioco ed i tuoi piedi. L’hanno già scritto tutti: ciao, addio, ci mancherai, non ci mancherai, ci servivi, non ci servivi.  Io ti dico solo grazie Wes. Magari non sei il più grande interista sulla faccia della terra, anzi non ci sono dubbi. Ma anche grazie a te l’Inter è diventata grande.

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12.12.12. IL NUMERO CHE NON MI PIACE MA CHE HA FATTO LA STORIA

12 dicembre 2012

urlNon mi è mai piaciuto il numero 12. Forse perché faccio il portiere da quando ho sette anni e ho sempre avuto una certa allergia alla panchina, allo stare fuori. Non ho mai giocato con il 12. E siccome non ho mai giocato in un campionato importante, ho praticamente sempre giocato castutilloon l’1, da titolare.  Sono cresciuto con la consapevolezza che il 12 fosse il numero della riserva, di quello che non giocava mai. Anche se magari era simpatico. Ad esempio: Astutillo Malgioglio. Lo trovavo sempre nelle figurine, aveva quei baffoni indimenticabili e una faccia simpatica. Non mi ricordo una sola partita di Astutillo, ma era come se lo conoscessi da una vita. Era il 12 perché davanti a lui c’era il più forte, il mio preferito, quello che ho più amato. Walter Zenga.

Poi qualcosa è cambiato. Non solo la numerazione, non più vincolata al classico 1-1. Il portiere titolare, una delle poche certezze nel calcio, ha continuato a indossare l’1. Fino a quando sono arrivati quei due brasiliani mezzi sconosciuti. Dida e Julio Cesar. Arrivati sconosciuti, appunto, si sono imposti fregando i numeri 1 delle milanesi. Toldo, ad esempio, ha assistito dalla panchina alla scalata internazionale di Julio, senza peraltro mollargli l’1. Il titolare era Julio Cesar, ma l’1 stava in panchina. A pensarci, ancora oggi, mi fa davvero una strana sensazione pensare che tutti i più bei miracoli di Julione, compresa la parata su Messi, o quella su Robben in finale di Champions, siano stati compiuti con il 12 sulle spalle. Poi, una volta ritirato ToldOne, Julio si è assicurato subito l’1. La magia, però, era come se la fosse portata via quel numero 12. Non che con l’1 Julio sia peggiorato, sia chiaro. Ma il meglio l’ha dato con il 12 sulle spalle. Ora, per dire, al Qpr gioca con il 33.

Oggi il 12 dell’Inter è Castellazzi. Bontà sua, Strama gli sta preferendo Belec come secondo. Non che Castellazzi non sia un buon portiere, ma diciamo che la sua esperienza all’Inter non è poi molto fortunata, con una media di gol presi piuttosto imbarazzante. Il vero 12 da rimpiangere è stato, senza dubbio, Alberto, detto Jimmy, Fontana. Quattro stagioni (dal 2001 al 2005) con 24 presenze ricche di miracoli. Un piccolo grande fenomeno, tanto che a tratti diventò quasi titolare. Nella giornata del 12, che non amo, preferisco ricordare lui piuttosto che i tanti, come Giovinco (ma anche Henry), che ora lo usano pur essendo giocatori di movimento. Preferisco parlare dei veri 12, quelli che stanno nell’ombra e poi devono essere pronti, a non sbagliare, oppure ad entrare giusto per farsi infilare da un rigore. Senza tralasciare il fatto che il 12 è anche il numero dei tifosi, delle curve, di quel famoso dodicesimo uomo in campo che ti fa correre un po’ più forte. In un calcio in cui Giovinco gioca con il 12 e Napoleoni (centrocampista del Levadiakos) gioca con l’1, non riesco a non pensare che un numero 12 ha scritto un pezzo di storia del calcio moderno.

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QUELLE LUCI(O) NON SI ACCENDERANNO PIU’

4 luglio 2012

Ok, come ricordano i testoni di interistiorg, forse non è proprio il caso di insultare l’uomo che ha annientato Drogba e Messi. Era il 2010 però e, calcisticamente, è passata una vita. E allora ecco, in fila, un po’ di motivi per o quali non bisogna disperarsi troppo se Lucio è andato alla Juve.

PS: Torno ad avere l’esclusiva su “Lucio a San Siro”

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È STATO BELLISSIMO

14 marzo 2012

ImmagineSilenzio. Non irreale, perché è stato realissimo. Non totale, perché intanto i francesi sono esplosi. Silenzio improvviso, quello sì. Doloroso, dolorosissimo. C’era il vuoto, in quel silenzio. C’era tutto, e non c’era più niente. C’era la parola fine e tutti l’hanno capito.

Inter-Liverpool del 2008 era stata caricata di più. C’era più fame d’Europa. C’erano i fischietti, il pubblico che ringhiava. Poi era arrivato il gol di Torres che aveva gelato tutti, ok. Ma era solo l’ennesima eliminazione. Ieri, invece, è stata l’ultima. Lo stadio non era acceso come contro il Chelsea o il Barcellona, ma nemmeno come contro il Rubin Kazan. Lì c’era tutto: fame, classe, rabbia, giocatori al top. C’era Josè. Ieri non c’era più niente, ma non c’era più niente da un bel pezzo, dal 23 maggio 2010.

Anzi, una cosa c’era. C’era il capitano. Javier, Saverio, El Tractor, Pupi, chiamatelo come volete. Zanetti. Immenso, leggendario, clamoroso, unico, irripetibile. Ha guidato ancora una volta la carica, ha fatto tutto quello che poteva fare, ha dato l’esempio, ha fatto più di tutto quello che hanno fatto gli altri, messi insieme. E alla fine è venuto ad applaudirci, a ringraziare con un applauso per il sostegno, a chiedere scusa, a dire “ok, ragazzi, è davvero finita”. Impossibile non restituirgli un applauso. Dovuto a lui ma anche ai nostri colori.

Era iniziato tutto nel maggio del 2005. Andavo ancora all’università. All’inizio dell’anno, in una pausa tra una lezione e l’altra, mi sono seduto sugli scalini del Duomo con Rosario, fedele compagno nerazzurro. E ci dicevamo: “Dobbiamo iniziare con una Coppa Italia, giusto per iniziare a capire cosa vuol dire vincere. Vinciamo la Coppa Italia e pian piano costruiamo la mentalità”. Discorsi da tifosi. Conditi da formazioni, da ipotesi di mercato. Da previsioni azzeccate (Julio Cesar, Maicon). Da sogni diventati realtà: quell’Ibra ritagliato dal giornale, con la maglia a strisce bianconere colorate a penna e diventate nerazzurre. Da altre coppe Italia, dalle supercoppe italiane, dagli scudetti che iniziavano ad arrivare.

È stato lungo, bellissimo e dolce. Dalla punizione di Sinisa con la Roma al sigillo di Milito in Coppa Italia, l’anno scorso, con il Palermo. Stop, tutto finito. Rubin Kazan-Chelsea-Cska-Barcellona-Bayern restano tappe indimenticabili. La trasferta a Siena, in solitaria, me la porterò dentro per sempre. Come mi porterò dentro per un bel po’ quel gelo che Brandao ha fatto calare su di noi ieri sera.

Un freddo che ci ha fatto male, che ci ha detto quello che già sapevamo ma al quale ci ostinavamo a non volerci credere. Pensavamo, in cuor nostro, di poter allungare ancora un po’ la magia. “Vinci col Marsiglia, peschi l’Apoel e sei già in semifinale, poi tutto può succedere”, era il pensiero comune anche dell’interista più pessimista. E invece no, è tempo di ricominciare. Senza Champions, senza più toppe sulle maglie, senza più cori per i giocatori. Tranne che per uno, per il Capitano.

Grazie, Inter. Grazie per questi sette anni. Sappiamo cosa ci aspetta, quanto sarà difficile, quanto sarà bello, un giorno, tornare a riempire lo stadio sapendo di essere i più forti. Intanto, noi siamo qua. “Noi non vi lasceremo mai. Forza Inter dai”.

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CAMBIA-SSO, QUANDO MOU FACEVA A MENO DEL CUCHU

14 febbraio 2012

Lo dico subito, senza giri di parole. Questo post è soltanto un tentativo di riflettere su un luogo comune che negli ultimi tempi è sulla bocca di tanti tifosi dell’Inter, e cioè: “Cambiasso è intoccabile, non lo tolgono mai”.

Non è un post contro Cambiasso. Non stiamo certo discutendo un giocatore che all’Inter ha dato tutto se stesso contribuendo alla conquista del mondo. E’ un’analisi. Vediamola.

In questa stagione Cambiasso ha giocato tutte le partite dell’Inter, tutte. Solo in quattro occasioni non è stato in campo per 90 minuti. Anche contro il Novara ha giocato tutta la partita, nonostante Poli avesse dimostrato più freschezza atletica, più passo.

Intoccabile? Forse. Non con Mourinho, per lo meno nell’anno del triplete. Eccolo, il dato: nella stagione 2009/2010 Esteban Cambiasso fu sostituito da Mourinho per ben 14 volte. Solo in tre casi uscì a risultato acquisito. Negli altri 11, l’Inter stava o perdendo o pareggiando. Sì, avete letto bene. Quando l’Inter non andava, quando l’Inter doveva recuperare, quando c’era bisogno di accelerare, rompendo gli schemi, lo Special One non esitava a togliere il Cuchu.

Certo, con Mou Cambiasso era piuttosto bloccato tatticamente, perciò il portoghese sceglieva di togliere l’argentino per inserire solitamente un attaccante.  La mossa funzionò alla perfezione per tre volte: Cambiasso uscì contro il Cagliari (29/09/09) sull’1-0 per i padroni di casa, con l’Inter che vinse poi 2-1. Poi nella famosa partita di Kiev: nerazzurri sotto, Cambiasso restò negli spogliatoi a fine primo tempo e l’Inter vinse 2-1. Stesso risultato e stessa rimonta sulla Juve in Coppa Italia, quando Cambiasso uscì al 62′ con l’Inter sotto 1-0: Lucio e Balotelli regalarono il successo a Mou. Negli altri otto casi, il risultato non cambiò. Ma resta comunque significativo il fatto che Mourinho non esitasse a togliere Cambiasso.

Cosa che Ranieri non fa. Come non fosse possibile effettuare uno sgarbo a questo totem nerazzurro. Ma non si tratterebbe di uno sgarbo. Se l’Inter vuole cambiare passo, ogni tanto dovrebbe provarlo a fare senza il Cuchu.

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SENZA FARE CHIASSO

12 novembre 2011

Ho visto Inter Chiasso da bordo campo.

  1. Per tutta la partita Cordoba e Samuel (nel primo tempo) hanno parlato. È bello stare così vicino e sentire tutto quello che si dicono i giocatori.
  2. Tutti i palloni venivano giocati a Poli: Bravo Andrea, Dai Andrea, Forza Andrea. Ci stanno provando in tutti i modi a farlo sentire più importante di quello che, suo malgrado, potrà essere.
  3. Al decimo minuto Chivu ha inveito contro l’arbitro, manco fosse una partita vera: “Ma che cazzo fischi! Fischia anche per noi allora”. Il tono non era per niente amichevole. Per niente.
  4. Chivu ha incenerito con lo sguardo Castaignos più di una volta. Soprattutto dopo che ha bruciato la fascia sinistra con una sovrapposizione velocissima e l’olandese ha aperto verso destra.
  5. Castaignos ha sbagliato tutto. Poi ha segnato, ma sembrava non c’entrare niente con la partita e con il gioco.
  6. Se Jonathan è il nuovo Maicon…mettete un paragone IMPOSSIBILE a caso, andrà bene.
  7. Nel Chiasso per un tempo ha giocato praticamente solo il capitano, Croci-Torti. Quanto corre?!
  8. Gaspar ha preso un palo e una traversa. Orlandoni, non per colpa sua, è riuscito a prendere gol.
  9. Nell’Inter solo Cordoba e Stankovic avevano i parastinchi. Zarate ha rimpianto di non averli messi.
  10. L’allenatore del Chiasso, Raimondo Ponte, è stato definito dai tifosi del Chiasso “il miglior numero 10 della storia svizzera”. In effetti nel 1980 fu acquistato dal Nottingham Forest, detentore della Coppa dei Campioni. La sua carriera da calciatore, sbocciata e proseguita nel Grasshopper, è contraddistinta anche dal titolo di capocannoniere della Coppa Uefa ’77/’78.
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NELLE MANI DI CASTELLAZZI

29 ottobre 2011

Parliamo di numeri, la facciamo breve. Stasera, Inter-Juve, gioca Castellazzi. Il buon Luca ha collezionato 22 presenze con la maglia dell’Inter. 12 vittorie, 4 pareggi, 6 sconfitte. Ma il dato è un altro. Nelle 22 apparizioni, solo 5 volte non ha subito gol. Avete capito bene. Al suo debutto in campionato, (33′ contro il Genoa), nello 0-0 di Coppa Italia con il Napoli, nella vittoria con il Werder Brema per 4-0 (giocando solo il secondo tempo), nell’1-0 contro il Twente e nel secondo tempo di Inter-Atalanta, con rigore parato. Ecco, no per dire. In tutte le altre 17 partite è stato bucato, per un totale di 28 gol. Poi ditemi come faccio a stare tranquillo.

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LASCIATECI LOTTARE

19 ottobre 2011

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Una vittoria come quella con il Lille non cancella i giudizi su questa Inter. Ma di sicuro aiuta tutti a capire qual è la strada. Obbligata, ma chiara. Difendere, prima di tutto. Difendersi, come meglio si può. Per una volta non abbiamo preso gol, grazie a Lucio, Chivu e soprattutto a Julio Cesar. Quando salta un allenatore e ne arriva un altro si dice sempre che, innanzitutto, il nuovo tecnico debba puntellare la difesa. Poi viene il resto. Ranieri a dir la verità sembrava non esserci riuscito. Ma con il Lille si sono visti i primi segnali. Perché abbiamo sofferto ma non abbiamo subito, ci hanno attaccati ma non ci hanno fatto gol. Tutti hanno lottato per non subire, per non prendere l’ennesimo schiaffo. Penso alle scivolate di Lucio e Stankovic, alle chiusure di Chivu, alle parate di Julio. Per una volta, tutti sono tornati a fare al meglio quello per cui sono diventati famosi. E cioè lottare, lottare, lottare. Poi davanti è arrivato un gol, unico, solo e bello. Bello perché ispirato da Sneijder e Zarate. Bello perché concluso da Pazzini. Bellissimo perché pieno di voglia. Quel “LASCIA” che Pazzini ha urlato a Sneijder prima di colpire il pallone al volo conteneva tutta la rabbia e la voglia di vincere che vogliamo sempre vedere in campo.

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FINITI?

17 ottobre 2011

E adesso ci aggrappiamo alla Champions, per allenarci per il campionato. Ho letto quanto ha detto il presidente, ha detto che la Coppa è un’opportunità. Manco fossimo diventati il Palermo. O il Genoa. Ok, non la vinceremo mai la Champions, come probabilmente non vinceremo il campionato. Si lo so, avevo appena scritto che non bisognava mollare, che bisognava ripartire. Che bisognava tornare a crederci. Io, i giocatori, l’ambiente. Poi è arrivato il secondo tempo di Catania. È arrivato anche il quarto rigore contro in sei partite. Ma, soprattutto, la quarta sconfitta su sei in campionato. Moratti ha detto che la classifica è “decisamente” brutta. Se il presidente parla così, significa che anche lui ha capito che siamo in fondo. Fine della corsa, aggiustatore o non aggiustatore, recupero degli infortunati o meno, con o senza Sneijder.

A far crollare l’ottimismo anche al presidente sono alcuni dati di fatto fin troppi evidenti. Nell’anno del triplete l’Inter ha perso solo 4 volte in campionato. Da qui alla fine, Ranieri non dovrebbe più perdere. Il muro difensivo è andato in pezzi: Julio non è più quello di una volta, Samuel è stato fuori un anno e sente il peso degli anni, Lucio prova a fare le follie che due anni fa gli riuscivano ad occhi chiusi (tipo scartare di tacco Drogba) senza però avere le gambe. E così ogni volta con le sue uscite alte, con i suoi interventi scriteriati, fa sì che si aprano voragini. A centrocampo Cambiasso e Zanetti provano a non annegare, Thiago Motta non è mai pervenuto e non sarà la risposta atletica che cerchiamo. Poli è stato preso rotto, si è rotto di nuovo e ci ha già rotto, ancora prima di cominciare. Inutile parlare dei nuovi acquisti, come Jonathan che per fortuna non giocherà mai più, o Alvare. Strapagato per essere lento, informe, inutile. Davanti potremmo quasi arrangiarci, se Forlan non si fosse rotto e se Zarate trasformasse in positivo tutto quello che ha in mente di fare.

Posso e possiamo sperare solo in una cosa: che pian piano Julio torni ad essere superman, che il muro, cancellata dalla testa la difesa a 3, ricominci ad essere insuperabile. Che Motta torni in campo con gamba e voglia, quella che gli permetteva di andare in tackle a recuperare palla al limite dell’area del Barcellona. Che Milito e Pazzini riescano a fare, insieme, i gol che ha fatto l’anno scorso Eto’o, almeno quello. Che Sneijder, rimesso al centro dell’Inter, ricominci a giocare da Pallone d’oro, che non ha vinto, ma quasi. Un po’ di speranza c’è. Al di là del fatto che le energie mentali e fisiche siano quasi finite, c’è una cosa che deve entrare nella testa dei giocatori e che, di colpo, si trasformerebbe in fatti. Noi siamo l’Inter e – pensate – anche con Leonardo, anche quando si andava sotto tutti sapevano che, in un modo o nell’altro, la partita poteva essere ribaltata. Come con il Palermo, con il Cesena, con il Bayern. Insomma, dobbiamo tornare a credere in noi stessi, noi tifosi per primi. Invece di disunirci, di commiserarci, dobbiamo combattere. E che Ranieri ci dia una mano. Magari lasciando Alvarez in tribuna.